HDM S.R.L.
Via G. Borsi, 9 – Milano
T +39 02 6596329

Influencer marketing e branding: è possibile farlo dando contenuti di valore ai follower?

Come far parlare di un brand, evitando l’effetto “marchetta”? Ecco come lo abbiamo fatto per CucinaBarilla, puntando sulla creatività di Tegamini e Conoscounposto.

 

Di questi tempi basta un “Ehy guys, [inserire nome brand] sent me this amazing present… ” e la tentazione di fare swipe left si fa impellente.
Certo, come fruitori di contenuto può farci piacere ricevere “consigli d’acquisto” da influencer che stimiamo e che sanno darci suggerimenti di valore. Eppure a volte tutte queste parole, questi unboxing, finiscono per suscitare un senso di fastidio (e forse anche un po’ di invidia), senza essere percepiti come contenuti di valore.

 

Ma allora, quale dovrebbe essere il confine da non superare? Come produrre contenuti informativi, che sappiano anche intrattenere? E soprattutto… non è che forse sono proprio i brand ad avere una responsabilità all’interno di questo gioco?

 

I bravi influencer lo sanno bene: presentare ai follower prodotti e brand non coerenti con il proprio stile o con i propri gusti alla lunga non ripaga.

 

Fare branding senza dimenticare l’importanza dei contenuti

 

“Content is king”, lo abbiamo sentito ripetere fino alla nausea e in tutti i contesti, ma forse non ancora abbastanza, in merito alle campagne di influencer marketing.
Spesso si parla di “scegliere l’influencer giusto”, di far sì che lo stile di comunicazione e il tono di voce siano “in linea” con il brand, così come ovviamente i valori della personalità scelta. Si parla quindi di target, di tone of voice, di audience, di followerbase… ma non si sta forse dimenticando proprio il re?

 

Se è vero che non basta far aggiungere un tag e uno swipe ad un profilo noto, per creare una campagna influencer marketing, allora forse è bene ripartire dalle basi.

 

Ideare una strategia di influencer marketing a partire da… un concept!

 

Farsi guidare dal contenuto: sembra scontato, eppure sono davvero poche le campagne influencer che ad oggi vanno in questa direzione: ponendo il focus su contenuti divertenti, di valore per l’audience, potenzialmente virali, in linea con il tono di voce e lo stile del talent scelto e solo secondariamente sul brand o sul prodotto.
Al cuore di questa strategia, a nostro avviso, c’è un aspetto fondamentale: il rispetto dell’autenticità, dello stile e della personalità del talent che, una volta scelto, deve essere lasciato il più possibile libero di esprimersi e interpretare in chiave personale il messaggio del brand.

 

La nostra esperienza: la #BeTheFirstChallenge di CucinaBarilla

 

Un brand con un nuovo posizionamento da comunicare e a cui dare visibilità.
Un prodotto dedicato a vari target, tra cui chi non ha molta voglia di cucinare, ma è smart, e preferisce farlo in modo pratico e veloce.
Una piattaforma dove vive questo popolo che di cucinare proprio ha #zerosbatti e che non ha paura di dichiararlo (anzi, ne fa un vanto!): Instagram.
Due influencer che da sempre si fanno paladine di questo mood di vita (e di riflesso, pioniere di questa community #zerosbatters sul social): @conoscounposto e @tegamini.
Come raggiungere e ingaggiare nel profondo il target di riferimento rispettando appunto il bisogno di contenuti di valore? Come far sì che all’ennesimo unboxing l’utente non facesse swipe left? E perché no, allo stesso tempo, come ottimizzare quindi l’investimento media del brand nel coinvolgimento dei talent? La risposta ci è sembrata subito chiara: con un contenuto di valore.

 

Image for post

 

E così è nata la #BeTheFirstChallenge: Francesca e Caterina sono state bravissime a sfidarsi a colpi di battute irriverenti per ricreare la più buona ricetta personalizzata a partire da un kit del brand (kit di ingredienti per preparare in modo semplice e veloce il cous cous di verdure). Seguendo il proprio stile di comunicazione, scambiandosi riferimenti divertenti e prendendosi anche un po’ in giro, facendo leva sui propri cliché, le ragazze hanno parlato del brand utilizzando un linguaggio tutto loro, con termini e riferimenti amati dai rispettivi follower e suscitando complicità. Il risultato? Un contenuto brandizzato sì, ma con un concept intelligente alla base, quello di una sfida semiseria in cucina che potesse presentare un prodotto, divertendo però i follower anche grazie ad un linguaggio spontaneo e autentico.

 

Image for post

 

Image for post

 

Ma impegnarsi così tanto sul contenuto… ripaga?

 

I risultati della campagna ci dicono di sì: i livelli di social engagement dei contenuti ottenuti rispetto alla reach dei contenuti (organici) sono stati mediamente più alti rispetto a quelli ottenuti per altre campagne da noi seguite in passato (campagne dove il livello di attenzione era focalizzato più sul prodotto).
Lo stesso si è visto dal punto di vista delle conversioni generate, con valori oltre le stime attese ed un CPA non troppo distante da altre attivazioni media per il brand (si trattava infatti di un obiettivo secondario della campagna).

 

L’attenzione al contenuto e il rispetto dello stile dell’influencer possono forse essere allora l’antidoto al male dei contenuti “marchetta”?

 

Sì, se iniziamo a considerare l’empatia con i propri utenti

 

Di certo, tali evidenze non possono bastare per rispondere all’eterno quesito del ROAS in merito all’influencer marketing, ma rappresentano sicuramente un punto di partenza interessante per approfondire il valore che apportano queste campagne. Sì, perché tale valore non è misurabile solo in termini di reachreaction e conversioni, metriche sicuramente importanti, ma che non tengono conto del posizionamento ottenuto dalla visibilità e dalla relazione utente-brand che possono sviluppare certe forme di interazione social.
Sempre per la #BeTheFirstChallenge, abbiamo infatti approfondito le insight raccolte dalla campagna andando ad elaborare un’analisi delle interazioni secondo l’HEI, il nostro Human Empathy Indicator.

 

Image for post

 

Misurare l’engagement tramite un “numerone” totale di interazioni infatti non ci sembrava una strada adeguata e sensata verso i brand con cui lavoriamo. Le interazioni non sono infatti tutte uguali: un commento richiede un effort maggiore ad un utente rispetto ad un like, per esempio. Ma ancora, un commento positivo ed un commento negativo ad un post influencer non possono essere considerati allo stesso modo. Ci sono differenze poi tra altre forme di interazione? Sì, uno “share” contribuisce alla valorizzazione di un messaggio, un “salvato” può indicare la volontà per un utente di approfondire un certo messaggio in un secondo momento.

 

Image for post

 

Grazie a questa analisi, è così possibile fare un passo oltre l’analisi standard dell’engagement, ricostruendo la relazione che si va a creare tra il brand e gli utenti in seguito ad una campagna. La relazione ottenuta, è orientata all’approfondimento del prodotto (le interazioni sono tutti swipe up in un frame di Story con codice sconto), alla condivisione con amici (quando prevale lo share) o alla consideration verso il brand (per esempio quando i commenti sono positivi, numerosi e rilevanti)?

 

Dando un senso e un significato alle interazioni è così possibile analizzare i risultati raccolti da una campagna in modo più profondo, sempre nell’ottica di concentrarsi sul contenuto, sul valore e sull’empatia che si creano per l’utente.

 

Potrebbe essere questa la chiave per risolvere lo spinoso dilemma posto ad inizio articolo: stories di unboxing e post “marchetta” per quanto tempo possono essere ancora sostenibili se non coinvolgenti e legati ad uno storytelling? Noi siamo curiosi di trovare una risposta testando questa strada… e se lo siete anche voi, contattateci per metterci alla prova.

Hai trovato interessante questo articolo?

Possiamo fare tanto per il tuo business e siamo sempre in cerca di nuove sfide. Mettici alla prova, raccontaci di te e della tua realtà!